venerdì 21 maggio 2010

Arredare l'Armageddon

E così mi sono trovato col motorino che non partiva. Essendo lontano dal mio meccanico di fiducia, l'ho portato a spinta fino a un'officina vicina.
Il tizio mi dice che solo per vedere cos'ha il motorino ci vogliono 40 euro. E va bene, che vuole che gli dica? E' lui il meccanico.
Il giorno dopo telefono e mi dice che a una prima apertura non ha trovato il guasto, che lo deve aprire ulteriormente. E va bene, dottore, faccia lei.
Lo richiamo. Il guasto è pesante, si parla di 350 euro di riparazione. Di cui 100 solo per capire di che si trattava. Cento, porco cazzo? Cento, certo, di lavoro duro si trattò.
Ok, la mattina dopo mi consulto al telefono col meccanico di fiducia. Gli spiego i sintomi del motorino. Lui mi dice che il guasto non può essere quello che sostiene l'altro. E che probabilmente c'è solo una spesa di un centinaio di euro. Dunque, arrivo a lavoro. Vado a piedi, zoppicante per una contrattura muscolare rimediata in palestra, all'officina. Con un blitz, dico che mi riprendo il motorino. Pago cento euro con fattura, promettendomi in testa che appena ho le prove della tentata truffa gli faccio un culo così e mi faccio ridare i soldi indietro. Mi avvio sotto il sole per portare a spinta il motorino sotto il mio ufficio in attesa del furgoncino del meccanico di fiducia.
Dopo un chilometro di spinta zoppicante - nervoso perché se i meccanici, come gli idraulici, i tassisti e gli oculisti, non fossero una categoria ad alto tasso delinquenziale, non sarei costretto a spostare il motorino da un'officina all'altra – mi trovo all'angolo della via Salaria.
Cazzo, vado a beccare proprio il giorno e l'istante esatto della commemorazione dell'assassinio di Massimo D'Antona per mano delle Br. Sotto la targa commemorativa ci saranno una cinquantina di persone, quanto bastano per bloccare il traffico. Dalla parte opposta della strada la gente osserva distratta mangiando un pezzo di pizza, davanti alla rosticceria. Penso di passare da lì. Un vigile mi blocca. “Non si può passare”. “Ma il motorino è spento”. “Non si passa”. “Vado a passo d'uomo”. “Non si può passare”. “Ma perchè? Sono 5 metri e da lì non do fastidio”. “Non si può, abbiamo queste disposizioni.” “Possibile che avete solo disposizioni idiote?”
Mi metto da parte. Il vigile continua a tormentarmi facendomi spostare da un marciapiede all'altro. Mi ritrovo ad imprecare all'indirizzo della manifestazione. “Si vengono a lavare la coscienza con dieci minuti di manifestazione all'anno!”, dico ad alta voce. Sono in venti e hanno dieci bandiere dei sindacati. Solo politici e sindacalisti. Nessuno di loro si chiede perché non c'è neanche un cittadino?
Mi ritrovo così con un senso di nausea nei panni dell'uomo di strada, del grillino, del qualunquista.
Ma non posso fare altrimenti. Dopo venti minuti, il corteo comincia a sciogliersi. Gli autisti dell auto blu si destano dal torpore. Mi passano davanti Walter Veltroni e Bianca Berlinguer, chiaccherando amabilmente. Poi viene un tizio col fazzoletto della Lega e un paio di occhiali da architetto, sorridente ed energico. La nausea sale.
Il vigile con aria complice da padre, mi dice “Prova adesso a passare”, e per un po' mi fa spazio tra la folla.
I giornalisti sciamano attorno ai politici e alle personalità come api impazzite e disordinate.
Uno detta al telefono le dichiarazioni di un politico. Democrazia, lavoro, nella misura in cui, sforzi, momento drammatico, stringersi intorno, rilanciare...
Ancora nausea. Parole vuote, messe insieme in costrutti lisi come la sindone di Cristo. Non significano nulla in bocca a un politico. Diventano grottesche ripetute al telefono con enfasi da un giornalista. Provo immensa pena per questa professione. Ridotti a fare da altoparlante al vuoto delle iene. Incontro una mia amica giornalista in servizio. Anche lei sciamante, concentrata sull'attimo da cogliere, sulla dichiarazione da non perdere. Mi chiedo se lei si renda conto dell'inutilità di questo, se ci creda, o se invece, semplicemente, lo fa senza porsi il problema. Perché è il suo lavoro.
Realizzo il motivo della mia nausea e il vero obbiettivo. Il paese in cui vivo. In una mattina ho visto riassunto i motivi per cui stiamo andando a picco.
I furbi che se ne approfittano indisturbati, e che costringono le persone perbene a grandi sforzi per vedere rispettati i loro diritti, oppure a poco a poco le spingono a diventare furbe anche loro per sfinimento. L'ottusa burocrazia delle forze dell'ordine e dell'amministrazione, il non chiedersi mai il perché delle regole, quando funzionano e quando no, come fare per migliorarle a favore del cittadino.
E poi l'arroganza muta e autistica dei politici. Il loro vivere in una bolla insonorizzata. Il loro credere che il cambiamento del reale si realizzi con una semplice dichiarazione. E il ruolo pesante che in questo ha l'informazione, che si accontenta di reggere i microfono. Che non manda a fare in culo mai nessuno, neanche quelli che se lo meritano da vent'anni.
E su tutto questo, le parole che hanno perso senso, la devastante consapevolezza che ogni parola può significare tutto e il suo contrario.
Mentre attraverso l'ultimo pezzo di folla, lancio un'occhiata verso la lapide dedicata a Massimo D'Antona. Non riesco a credere ai miei occhi. Il palchetto da cui hanno parlato le personalità è puntellato e rivestito con un tappeto persiano. Per un attimo, mi viene in mente un fotogramma di Battiato seduto che canta del cinghiale bianco. Cosa c'entra il grazioso tappeto persiano con le br e con le p38? Chi si sarà preso l'impegno o la briga di arredare elegantemente quel palchetto da tre quarti d'ora di interventi?
Ancora nausea. Un paese capace di arredare l'armageddon, ecco dove vivo.
Un giorno apriremo la porta di casa e ci troveremo enormi secchi di merda. Senza scomporci, li porteremo dentro e li useremo per farci dei deliziosi Pollock.

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