lunedì 20 luglio 2009

Genova + Otto


Oggi è l'anniversario della morte di Carlo Giuliani, il 20 luglio del 2001.
Non avevo mai scritto nulla su quei giorni terribili di Genova. Non che avessi rimosso, ma hanno rappresentato uno squarcio così profondo sulla mia vita che non me l'ero mai sentita di sedermi e scriverci sopra qualcosa.
Per me Genova 2001 rappresenta la presa di coscienza, il passaggio all'assunzione della responsabilità. In quegli stessi giorni, i miei più cari amici andavano a Lampedusa per una megavacanza di mare e scorpacciate di pasta con i ricci. Nelle loro foto spensierate c'è un solo spazio vuoto. Il mio. Dovevo andare al G8. Ci ho messo mesi di training per convincere mia madre al telefono che non sarei andato a morire. Poi in effetti, dentro qualcosa di simile alla guerra ci sono finito. Colonne di fumo denso e nero, elicotteri assordanti, e poi la paura.
Genova è stato il luogo dove ho conosciuto il panico puro.
La prima volta la mattina del 20 luglio. Non riuscivo quasi a respirare. Stavo per restare a piazza Manin, il luogo in teoria più pacifico, dove poi la polizia ha massacrato i manifestanti, ma poi fortunatamente ho deciso di seguire i miei amici a Piazzale Corvetto, ed è andata meglio.
Poi la notizia dell'uccisione di Carlo.
Attraversare la città in guerra con i gruppi di Black Block che ci sfilavano veloci di lato. Le macchine capovolte e carbonizzate. Non credere ai proprio occhi.
Poi finalmente a piazzale Kennedy. Rinchiusi, con la polizia fuori ad attendere le prede. Una banca in fiamma con il fumo nero che saliva appiccicato alla parete del palazzo.
Chiusi dentro lo spiazzale, megafoni, tentativi di organizzare una reazione. Fari della polizia dall'alto. E l'incredulità negli occhi di tutti. Carlo Giuliani è morto.
Il giorno dopo mi sono svegliato sull'erba umida di un campo di calcio. Di nuovo panico, nausea, voglia di vomitare. Voglia di scappare. Impossibile. Sapevo che non avrei mai potuto. Me lo impediva una voce che veniva da dentro. Devi restare. Ero dentro una gabbia, e le sbarre erano la mia coscienza.
Poi la marcia dei 300mila. Agnelli terrorizzati che trovano coraggio nello stringersi ed essere in tanti. E ancora corse, occhi terrorizzati, lanci di sassi, lacrimogeni acri nella gola.
Poi su un Pullman per la fuga. Una signora di sessant'anni salta su con la testa rotta e incerottata. Arrivo a casa a Siena alle 2 di notte, accendo la tv e c'è rainews24 in diretta dal massacro della scuola Diaz.
E poi, ragazzi che raccontavano le torture, nei giorni a venire. l'angoscia nei mesi successivi ogni volta che vedevo una pattuglia di polizia o sentivo un elicottero.
Dobbiamo stare uniti, se rimaniamo a casa adesso è finita, hanno vinto loro. Non siamo rimasti a casa. Abbiamo continuato almeno fino al Social Forum di Firenze nel 2002. Un milione di persone che danzano per esorcizzare la morte nel cuore.
Ci riusciamo. Ma dura poco. Ognuno sceglie poi una strada diversa. Qualcuno, tanti, tornano a casa. Tutti alla lunga, tornano a casa.
Genova è passata. Ma come potevamo noi restare gli stessi? Come potevamo con Carlo disteso nel sangue di piazza Alimonda?

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