lunedì 23 marzo 2009

A fari spenti nella notte... Il ritorno di Gino Vitellone



Ritorna la rubrica più incostante che ci sia.. "Universo Fava"! Questa settimana ridiamo la parola a Gino Vitellone, il nostro esploratore del genere femminile e delle sue contorte reazioni, l'avanguardista della figuraccia e delle recupero in zona cesarini.. Ma anche stavolta, come i tempi bui ci chiedono, la storia che racconta è di quelle senza happyend..



"Essere Gino Vitellone significa rischiare. Rischiare per portare la pagnotta a casa. Andare a stanare la patata laddove si nasconde. A volte -ahimè è la guerra - rubarla a qualcun'altro o strapparla dalle mani ancora calde di una cadavere sentimentale.
Dunque, la ragazza si era appena lasciata dopo anni di fidanzamento ferreo e indiscutibile. In questi casi, la singletudine improvvisa può essere di due tipi: o temporanea e totalmente ermetica ai nuovi inserimenti (fate pure le basse metafore che state pensando), o definitiva, straziante, bisognosa di consolazione. Ed è lì che arriva Gino Vitellone, affabile, cortese, paziente come un cobra. Pronto a mettere una mano sulla spalla, e l'altra...
Tornando a noi, dopo giorni di avvicinamento alla ragazza appena lasciata, avendo fatto i miei indiscutibili calcoli sulla probabilità che le piacessi, capisco che è il momento di sferrare l'attacco finale.
Scena notturna. Dopo una serata passata in compagnia di altri, la riaccompagno a casa. Spengo la macchina e cominciamo a parlare. La voce come al solito è suadente, il sorriso più simile possibile a quello di un affabile venditore di elettrodomestici. Proprio mentre l'atmosfera si fa densa, si accende la luce dell'ingresso di casa sua. Spunta un'ombra, che in men che non si dica assume la forma robusta e minacciosa del padre. Lui chiama il nome della ragazza, lei sbuffa. Il padre capisce dalla macchina che non si tratta del suo ex ragazzo storico (che per i genitori rimane il ragazzo almeno per sei settimane, essendo loro per natura stessa tardi ai cambiamenti come il Vaticano e il Pd). Quindi l'omone comincia a scrutare dentro l'ombra dell'abitacolo. Io mi esibisco nella mia imitazione migliore del coprisedile in tessuto sintetico. Aspetto che da un momento all'altro apra lo sportello, mi tiri fuori con un mignolo, e mi meni senza pietà. Invece si limita a dirle di sbrigarsi a salire e se ne va. Pericolo scampato, mi ricompongo e passo all'attacco. Con la mia abilità da moderatore di talk show, lascio scivolare la discussione sul piano sentimentale. Ed è lì che lei abbassa lo sguardo e ammette che sì...c'è una persona che le piace. Bingo, non posso che essere io, in questi giorni le sono stata addosso come il carceriere di Natasha Campus. Apro la bocca e aspetto che la preda s'infili docilmente dentro le mie fauci. "Viene all'università con me. E' di Agrigento". Un attimo, facciamo mente locale. Io non vado all'università... e non parlo come Totò Cuffaro... Cristo, non sono io!
La situazione precipita. Dalla mia espressione catatonica lei intuisce la mia delusione. Biascica due parole di conforto, ma così.... a metà, senza convinzione, giusto per far capire che insomma, non è che proprio non gliene fotta nulla nulla di me... Io assumo il mio solito contegno post-duedipicche. Rimodulo la voce su frequenze impersonali, smetto la posizione allungata su di lei e mi drizzo sulla schiena. Cambio repentinamente l'oggetto del discorso portando la conversazione su quanto di più noioso esista. Dopo aver scambiato un paio di chiacchere sul problema dell'alcolismo adolescenziale nel comprensorio, decido che è arrivato il momento di salutarci. E qui arriva il colpo di scena finale, di quelli che danno una grandezza tragica alle sconfitte e rendono il solito due di picche di routine un evento eccezionale.
Lei scende dalla macchina, si volta per salutarmi. Io giro la chiave pronto ad andare via (ma senza sgommare, che non si usa più dal '96)... e la macchina non parte. Non parte, nulla da fare. Per tutto il tempo ho lasciato i fari accesi e la radio di sottofondo. La batteria è morta, io muoio con lei. Lei mi guarda imbarazzata. Potrei lasciare la macchina sotto casa sua, e tornarla a prendere domani. Ma casa mia è vicina, è giusto una strada più in giù, è tutta discesa.
Dunque decido. Scendo dalla macchina, farfuglio una spiegazione, tolgo il freno a mano, e mi allontano spingendo la macchina.
Signori... c'è poco da ragionare. Lancio una sfida: chi può raccontare un epilogo più triste? un uomo che torna a casa con le pive nel sacco, dopo un rifiuto inaspettato, spingendo la macchina sotto gli occhi di lei.
Io sono leggenda".

(Gino Vitellone)

1 commento:

Anonimo ha detto...

incredibile gino!!!