martedì 11 novembre 2008

Il sapore rivoltante della violenza. Genova 2001 (*)


Nei prossimi giorni il Tribunale di Genova pronuncerà la sentenza del processo per l’irruzione alla scuola Diaz, avvenuto nella sera del 21 luglio 2001. Nel processo sono imputati 29 componenti della polizia (a tutti i livelli della scala gerarchica) con le accuse di falso ideologico, abuso di ufficio, arresto illegale e calunnia.

A Genova, durante il G8, sono successi fatti gravi, gravissimi, di cui si sarebbe parlato per molto tempo se altri impensabili avvenimenti, come l’attacco alle torri gemelle di New York, non si fossero concretizzati nel giro di pochi giorni. E se non ci fosse stata una deliberata volontà ometterli, di farli passare sotto silenzio.
Questi fatti raccontano di una sospensione terribile dello stato di diritto in questo paese, sostituito dalla logica della paura, dell’odio e della violenza.
A questo punto, però, sento di dover fare una premessa.
Il nostro paese, come molti altri paesi del sud, fornisce alle forze di polizia (considerate in senso ampio) decine -forse centinaia- di persone. Chiunque tra noi conosce, ammira o detesta, persone che prestano servizio negli apparati di ordine pubblico della repubblica italiana, o semplicemente ne è parente. O ancora più semplicemente è un/a poliziotto/a. Per questo motivo, oltre che per la riconoscenza nei confronti di chi lavora per la sicurezza di tutti, chi ne parla a priori male o malissimo, definendoli ad esempio sbirri, a mio avviso sbaglia, non vedendo la fatica di queste persone e il rischio cui si sottopongono.

Ma i fatti di quei giorni urlano ancora, nel silenzio generale, e parlano di pestaggi, infiltrazioni e provocazioni, di molotov portate nella scuola dalla polizia e successivamente distrutte, di pericolose omissioni e di inquietanti bugie.

In un articolo a firma di Giuseppe D’Avanzo pubblicato su Repubblica di ieri si legge un desolante bollettino di guerra: “Dei 93 ospiti della "Diaz" arrestati, 82 sono feriti, 63 ricoverati ospedale (tre, le prognosi riservate), 20 subiscono fratture ossee (alle mani e alle costole soprattutto, e poi alla mandibola, agli zigomi, al setto nasale, al cranio)”.

Questo bollettino di guerra non può essere un atto d’accusa nei confronti di un’istituzione intera. Ma ci servono a capire la differenza sostanziale tra l’uso della forza per preservare la legalità e la libertà e la violenza carica di odio. Quei poliziotti responsabili dei pestaggi non sono necessariamente dei violenti. Probabilmente nella loro vita non hanno mai fatto ricorso alla violenza. Ma in quelle circostanze, con un odio propagandato per mesi nei confronti dei manifestanti, con lo stress di sentirsi a loro volta sotto assedio, e con le responsabilità gravissime di chi li comandava, si sono lasciati andare ai loro peggiori sentimenti. Coscienti (o almeno così avranno pensato) che non ci sarebbe stata punizione per quei comportamenti.
La sospensione di legalità e libertà costituzionali in quei giorni a Genova ha portato queste persone a commettere quei reati contro altre persone, facendo per un istante assaporare al nostro paese il sapore rivoltante delle tante dittature del novecento. A dimostrazione che non c’è bisogno di essere un popolo violento o composto di pericolosi facinorosi per mettere in ginocchio la democrazia. Bastano persone normali, che però hanno perso ogni legame con le idee di libertà, rispetto per il dissenso e giustizia.
Per questo -e per rendere giustizia a quei poliziotti che svolgono coscientemente il proprio ruolo- è giusto non girare mai la testa dall’altra parte e far finta di non vedere.
(*) scritto per l'alambicco

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