martedì 9 settembre 2008

Generazione […]


Parliamo della mia generazione, probabilmente della nostra generazione. Sono sicuro che tra quarant’anni non se ne parlerà. Poco male, forse.

Fatto sta che invece ad altrettanti anni di distanza si discute ancora del ’68 e della sua generazione. Lasciate perdere il senso di fastidio che si prova nel vedere questa gente parlare di sé stessa con boria e frustrazione contemporaneamente (alcuni di noi odiano pregiudizialmente il ’68, altri lo odiano per il rammarico di non esserci stati). Lasciamo stare che a parlare sono spesso i privilegiati che avevano mezzi culturali per sopravvivere a quell’idea di cambiamento e alla deriva politicista e violenta che purtroppo ne è stata lo spiacevole corollario. Lasciamo stare che in quegli anni c’erano milioni di giovani che – come i loro i genitori – si rompevano la schiena lavorando senza troppe cambiamenti. Lasciamo perdere anche i meriti, che pure ci saranno stati.

Atteniamoci ai fatti. Questi stronzi hanno qualcosa da raccontare – in maniera pedante, d’accordo - ma noi? Cosa pensiamo di aver fatto o cosa abbiamo intenzione di fare noi che ci commuoviamo solo ricevendo le mail che ricordano “bim bum bam” e “holly&benji”?
Neanche la rivoluzione informatica (discutibile succedaneo tecnologico-universalista) può esserci attribuita, essendo appannaggio di geniali nerd americani degli anni ‘70.

Che cosa, dunque? Nulla. E per un’unica ragione: non siamo una generazione, ma la sua partizione. Un insieme di individui che hanno come massimo della dimensione collettiva il proprio gruppo di amici della pasquetta, senza alcuna appartenenza diversa. Ognuno sul proprio interesse specifico. Al massimo ci rifugiamo nell’appartenenza tradizionale, identitaria, territoriale, fatta più per escludere che per includere.

Hanno provato a definirci generazione Erasmus, dal nome del progetto europeo che favorisce gli studi all’estero. Ma che tristezza! Non solo riguarda poche migliaia di persone ma è esclusivamente dovuto al sussidio statale più che alla voglia di andare.

Lo so, vi sembrerò pessimista. Pensiamo a domani e doman l’altro. Ma la domanda è: perché il mondo futuro dovrebbe ricordarsi di noi? L’unica cosa che mi viene in mente è l’uso massiccio dei puntini di sospensione, monumento alla nostra incompiutezza.

12 commenti:

Cipputi ha detto...

Uno dei motivi per cui del 68 rimane un ricordo molto forte (oltre al fatto che gli ex sessantottini sono oggi a capo dei mezzi di fabbricazione dei ricordi), e della nostra epoca no, sta nel fatto che 40 anni fa la società della televisione non aveva ancora trasformato la storia in cronaca; passato presente e futuro in un continuo adesso che cancella il passato prossimo come una volpe cancella le tracce con la propria coda.
Questo per dire, caro Brad, che la nostra genereazione è stata qualcosa, solo che tu non te lo ricordi più. E come te, tanti altri.
Sono stati circa due anni, iniziati con la guerriglia a Seattle nel 2000, e finiti con il Social Forum europeo di Firenze nel 2002 (qualcuno dice con la manifestazione per la pace di Roma il 15 febbraio 2003).
Io che li ho vissuti in pieno, posso dire che sono anni speciali, vivi, condivisi. A Siena - come in tutta Italia - c'era un social forum, le associazioni s'incontravano, si mettevano insieme, discutevano. Tutti ci conoscevamo, tutti facevano qualcosa. C'era una sensazione condivisa di poter cambiare le cose. E le abbiamo cambiate, anche se siamo così ciechi da non riuscire ad accorgercene con i nostri occhi: tutte le tematiche legate all'emergenza climatica, alla riduzione del debito dei paesi poveri, al risparmio energetico, al riciclo, alla democrazia partecipata (che poi si è ridotta tristemente in elezioni primarie), sono nate in quegli anni. Le portavamo avanti come bandiere quando per la politica e l'opinione pubblica erano fissazioni da fricchettoni disadattati.
E poi c'è stato il battesimo di Genova. Chi c'è stato sa di cosa parlo. Come Valle Giulia a Roma nel 68, il G8 è stato il marchio impresso a sangue nella memoria di una generazione. Ed eravamo tanti, forse non quanti nel sessantotto, ma eravamo molto più di quelli che normalmente fanno politica.
Che sia stata una rivoluzione più piccola, meno estrema, più riformista, non conta. C'è stata. E io ricorderà quello, prima ancora di bim bum bam.

Polemia ha detto...

bene, ha ragione brad ma anche cipputi: esiste qualche scampolo di ricordo a su cui tediare i nostri nipotini, ma allo stesso tempo non si può negare che la nostra generazione si identifichi solo nel gruppo degli amici della pasquetta. il social forum sarà probabilmente tra 40 anni un piccolo 68, almeno per i nostri figli, e questo perchè a fabbricarne il ricordo - come è bello dire - saranno quei pochi che vi hanno partecipato. il problema è che non è nulla di epocale, nulla di rivoluzionario, perchè i tempi sono diversi e le scelte sono quasi tutte già state fatte in passato. il 68 è stato l'effetto di una serie di stravolgimenti che sarebbero avvnuti comunque, e forse per questa assenza di attrito (nonostante praga, gli scontri di piazza, e le famiglie sfasciate) ha avuto quella risonanza e quell'importanza. quello che è mancato alla nostra generazione e che non capisco, è lo scontro generazionale. ce ne sarebbero stati tutti i presupposti, ma purtroppo non è avvenuto e con la nostra precarietà continuiamo a pagare i sollazzi dei nostri genitori. ma ormai siamo grandi, entrati a far parte di quelli che fanno e non più di quelli che guardano e criticano, quindi per qualsiasi movimento giovanile dobbiamo solo sperare i quegli sbarbatelli con le creste ed i pantaloni calati, ma cosa ti vuoi aspettare da una generazione che ha distrutto il punk rendendolo romantico (vedi tokyo hotel)?

Cipputi ha detto...

Si, è vera questa cosa dello scontro generazionale mancato. Se la prendiamo dal punto di vista di chi legge il sessantotto come mezzo di ricambio della classe dirigente "che aveva fatto la guerra", nel nostro caso non siamo riusciti a toglierci dalle scatole la classe dirigente "che ha fatto il 68".
Ci penserà la generazione Tokio Hotel? Facciamo quella di dopo?

bradiponevrotico ha detto...

Cipputone ha ricordato quello che -in modi diversi- abbiamo vissuto ma polemia lo ridimensiona da un punto di vista storico ed esistenziale.
Io non ero a genova (la storia del perchè l'ho più volte raccontata...) ma ero a firenze, ero alle marce e ai social forum di provincia (siena e lecce) e sono contento di esserci stato. Non solo: cerco di dare qualche seguito.
Anche a me sembra che noi come generazione siamo stati più inquadrati, più disciplinati, anche nella contestazione. Lo dico come autocritica prima di tutto personale, solo successivamente generazionale

Dalla nuova generazione non mi aspetto nulla, nel senso che non mi aspetto da loro più di quanto non mi aspetto da me stesso
"Ed io contavo i denti ai francobolli/
Dicevo grazie a dio, buon natale/
Mi sentivo normale /
Eppure i miei vent'anni erano pochi più dei loro /
Ma adesso è tardi adesso torno a lavoro"

Anonimo ha detto...

"milioni di storie private brilleranno come stelle, ma a chi proverà a ricordare sembrerà di esser stati in un altro posto"

Unknown ha detto...

Lo scontro generazionale non c'e' stato per tante ragioni tra le quali non bisogna dimenticare che ad un certo punto della nostra storia recente, si e' deciso di sacrificare il futuro per tutelare il presente.
Non siamo una generazione anche (dico anche non 'solo') perche' le condizioni per 'essere generazione' sono state devastate da una scelta precisa. Nessuna generazione ha vissuto le ondate distruttiva che abbiamo preso noi. Questo non ci assolve, ma almeno da il contesto.

L'altra cosa e' che prima esistevano ideologie in cui riporre speranze, voglia ed anche passione. Ora sarebbe duro proporre sconvolgimenti epocali senza sapere cosa proporre come alternativa

bradiponevrotico ha detto...

sono molto contento della partecipazione, solo mi chiedo come mai sul nostro blog commentino quasi sempre uomini, tanto da sembrare una selva di fave

saluti, bradipo

Cipputi ha detto...

Ma sai che mi stavo chiedendo la stessa cosa?
Sarà che le donne sono intimorite dalla dimensione del nostro... cervello?

Anonimo ha detto...

penso che nel tuo caso non siano intimorite da nulla...

Cipputi ha detto...

...temerarie!

(anche se ho il sospetto che questo commento anonimo lo abbia inserito Brad)

Anonimo ha detto...

Leggevo ieri su Miseria dello sviluppo, di P. Bevilacqua, un pò di considerazioni supportate da dati statistici incredibili, sulle incredibili trasformazioni del lavoro in Occidente negli ultimi decenni, in termini di cancellazione di diritti, precarizzazione etc.
Ebbene, la cosa che più mi sorprende è che noi come generazione questi processi ormai consolidati li subiamo senza colpo ferire, senza che si sviluppino voci e forze che vi si oppongano sul piano politico. A furia di essere compressi e stritolati, prima o poi, avremo un sussulto di insofferenza?

fra ha detto...

caro fantacatetere...pensa a chi non ha neppure gli amici della pasquetta...e vedrai che tutto ti sembrerà diverso!!